Infinite sono le dimensioni dell’Essere, come pare infiniti siano gli Universi che, secondo la Teoria del Multiverso, ci scorrono al fianco.
L’opera di Matteo Bosi, da sempre, è in cerca di quelle costruzioni, di quei ponti e di quei legami fra le stesse, più o meno misterici, o immaginifici, in cui ci troviamo a immergerci o da cui emergiamo. Inoltre, la stessa contestualizzazione dei personaggi da lui rappresentati, diviene un caleidoscopio di tutto ciò che è stato, che è e che sarà nostro bagaglio intellettuale ed esperienziale, trovando, nell’abbattimento delle porte temporali, un unicum spaziale di forte impatto emotivo, sensuale, passionale, seducente ( … in cui la stasi diventa componente prima al fine di descrivere uno stato).
Forse che quel “silenzio”, presente nel titolo di questo ciclo di lavori, sia la volontà di raggiungere un luogo e un tempo infine di pace, una sorta di azzeramento, di dimensione unicamente estatica, quasi mistica, nella quale poter placare la rincorsa di un assoluto indistinto dal quale il suo agire trova origine?
Conoscendo Bosi credo di sì, come poi testimoniano certe dissolvenze o certe osmosi con la Natura che affiorano, qua e là, dalle sue elaborazioni sceniche (oserei teatrali), dove la conoscenza si fonde con l’estasi, la costruzione con la nebulosità, il vero col verosimile, la materia con l’ostentato onirismo.
Da alcuni anni a questa parte, in Occidente, si sente parlare di nuovi “miti” che, differenziandosi sempre più dalle “leggende” figlie della tradizione, sono portatori di tematiche e ambientazioni proprie della società dell’oggi, rappresentando soggetti tipici dell’esperienza dell’uomo contemporaneo (di solito frutti del “caos” in cui l’individuo del neonato XXI secolo si sta dibattendo). Direi che è quindi importante fare luce sui bisogni collettivi che muovono questa recente forma di mitopoiesi (definiamola così), con il preciso intento di valutare la vera portata di tale elemento di novità rispetto a ciò che è stato; un elemento che nell’oggi risulta quale espediente (spesso postmoderno) al fine di esorcizzare la graduale perdita di identità a cui siamo sottoposti a seguito della globalizzazione in atto e delle derivate omologazione e centrifugazione esistenziale a cui siamo sottoposti.
Ma come si presentano questi miti dell’oggi?
Le storie che circolano narrano di eventi e situazioni curiose, spesso dai risvolti meramente tragici, oppure tragicomici, che si offrono come sapere popolare ancora una volta da tramandare attraverso la diffusione orale. Questo implica la profonda importanza che assume, appunto, la leggenda quale aspetto significativo del mostrare le varie componenti di ciò che si condivide nel sociale, al fine di giungere alla piena comprensione di una civiltà, sotto il profilo socio-antropologico per poi renderlo artistico.
Matteo Bosi rientra in questa ricerca, dove le narrazioni che si presentano come “voci che corrono”, i cui epicentri raramente risultano identificabili, non sono da confondersi con le favole; non sono neanche semplici errori condivisi, ma portano con sé una propria verità, mettendo in luce aspetti di una conoscenza difficilmente rilevabile attraverso altre fonti o indagini tecno-scientifiche. Infatti, essendo credute, o ritenute credibili, le leggende (le saghe) influenzano la percezione degli individui e contribuiscono alla completa costruzione della realtà.
Dalla leggenda al mito, come sopra si è anticipato e come ben sappiamo, il passo è breve.
La parola mythos significa, appunto, “racconto”, ed è proprio il racconto di eventi appartenenti a un trascorso comune che fa da padrone in questo genere, contrapponendosi al logos, cioè al discorso razionale, e rimandandoci a un tipo di filosofia primitiva, arcaica, ancestrale, nella quale la capziosità descrittiva che ne sancisce il profilo va a compensare “l’impossibilità decifrativa” di certe componenti che dovrebbero apparire quali primarie (così fu anche del Barocco).
I miti che avevano come protagonisti i grandi eroi raccontavano di personaggi che si distinguevano per il loro coraggio e le loro virtù in imprese costellate di ostacoli, quelli sugli dèi raccontavano la nascita e la vita, quelli sull’origine, invece, cercavano di rispondere agli interrogativi esistenziali propri dell’umanità, fornendo una spiegazione per la nascita del mondo e della stirpe umana. Il mito, quindi, lungi dall’essere una mera invenzione dettata dall’immaginazione, si configurava come “un racconto venuto dalla notte dei tempi che esisteva già prima che un qualsiasi poeta iniziasse a metterlo in versi”, così come giustamente sostenne lo storico francese Jean-Pierre Vernant.
Per i popoli antichi il mondo del mito non era diverso dal mondo in cui vivevano, anzi veniva a sovrapporsi allo stesso, portando l’esempio di uomini più forti e coraggiosi, ma che condividevano la stessa natura umana di colui che ne cantava le gesta. Dunque il mito, come patrimonio di idee, tradizioni, istituzioni religiose e sociali, che vanno a determinare la cultura di un popolo nella sua fase iniziale evolutiva, racconta eventi accaduti, vissuti da personaggi sovrumani, protagonisti di storie che, per i più, risultavano reali, ancorché di una realtà superiore. Un simile contributo di conoscenza e di ispirazione aiuta a conservare il senso di identità proprio di una etnia, attraverso cronache in cui la stessa si riconosce e si identifica.
La finalità ultima che il mito si impone è infatti quella di celebrare degli alti valori e delle glorie e, allo stesso tempo, di esprimere le riflessioni di uomini che, prima di noi, ma come noi, hanno provato il dolore, la paura, l’angoscia, la gioia della vittoria, il rispetto del sacro, l’amore per la propria terra, lo spirito di sacrificio, la congiunzione con l’altro sesso o con la natura, in modo di poter creare una sempre nuova stirpe.
La mitologia assurge, così, a un ruolo cardine, rappresentando parte integrante della storia di una nazione e di un continente, e nel mito risiede anche la dimensione profetica, solitamente cieca, bendata, rivolta al trarre dalla tenebra futura una possibile luce a cui fare riferimento… verso cui indirizzare la nave.
Il lettore medio forse non si ricorda più di classici come l’Odissea o l’Iliade, d’Omero, o delle Metamorfosi d’Ovidio, oppure delle Vite Parallele di Plutarco. In queste opere si trovano i grandi miti dell’antichità che attraverso i secoli hanno ispirato infiniti autori: Dante Alighieri, Giovanni Boccaccio, Ludovico Ariosto, William Shakespeare, James Joyce… poi schiere di artisti figurativi. Perciò i miti ci rivelano, sempre, un qualcosa di noi stessi.
Italo Calvino spiegava, nelle sue Lezioni americane, che con i miti bisogna andarci piano in modo da interpretarli nei loro minimi dettagli per capirne il vero significato. Nella lezione intitolata Leggerezza, Calvino cita il mito di Perseo che uccide Medusa, decapitandola. Risulta noto che, per uccidere Medusa, Perseo deve evitare di fissarla negli occhi, altrimenti sarà trasformato in una statua di pietra, allora la guarda indirettamente, attraverso il riflesso dello scudo, e così la sconfigge.
Calvino vede nell’immagine di Perseo il rapporto che il poeta e l’artista hanno con il mondo. Ossia, la letteratura e l’arte ci comunicano la realtà della vita in modo indiretto, ponendo una distanza (una sorta di filtro… di velo) tra il soggetto e l’oggetto tramite una similitudine, una metafora o un’allegoria. Il fruitore che riesce a decifrare e capire quel tropo arriva alla realtà con la prospettiva di chi l’ha esaminata da una certa distanza, e quindi ha più probabilità di dominarla, di analizzarla, di coglierla per intero.
Il grande critico italiano Francesco De Sanctis vide nello scudo di Perseo un simbolo della ragione che serve all’umanità al fine di creare le forme necessarie per agire contro l’irrazionalità della vita, rappresentata da Medusa. Senza lo “scudo della ragione” l’umanità diventa statua, imprigionata nella sua immobilità.
E così si articola l’arte di Matteo Bosi, infatti quello che parrebbe irrazionale, riflettendosi in noi, acquista una sua logica, un suo senno, una facoltà intellettiva, in cui il corpo, esteticamente ricercato nella sua funzione e nei suoi decori, risulta metafora di un pensiero oltremodo articolato, minuzioso, profondo, perché simbolicamente liberato dall’oscuro che ci ingenera l’ignoto. Perciò il linguaggio usato da Matteo Bosi poggia su delle componenti che di continuo ci suggeriscono che coi grandi miti del passato, come con quelli del presente, e con quelli che sanciranno il nostro futuro, è sempre consigliabile andare oltre (cioè superare) il senso letterale, il possibile primo rimando, l’impatto viscerale, la suggestione del momento e del visibile, per riuscire a intravedere un messaggio etico che sovrasta il rappresentato stesso, così da perdersi in un continuo oltre scaturito dal concettuale, dallo speculativo, da un pensiero ideale che non avrà mai fine, non avrà mai morte.
Il silenzio di Bosi è, quindi, una possibile idealizzazione, una possibile utopia ( … e ciò nell’ossimoro), nonché il possibile concretizzarsi di un’illusione, perciò un fare, di quello che ci scorre al fianco, scheletro di un possibile divenire, seppur circolare, ripetitivo, magico, nelle sue componenti evocative e cerimoniali.
Bosi è sacerdote in questo, e la sua risulta una vera e propria liturgia in arte.
GIAN RUGGERO MANZONI
BEFORE SILENCE
The parallel realities of Matteo Bosi
The dimensions of the Being are endless like it seems that universes flowing around us are endless, according to the theory of the multiverse.
Forever Matteo Bosi’s work has been looking for those buildings, those bridges, those ties among the same realities, more or less mysterious or fictitious in which we are dipping or coming out. Moreover, the contextualization of his characters becomes a Kaleidoscope of anything belonging to our past, present and future education and experience. Time is broken and we have a unique space which involves emotions, senses, passions. Standstill is the most important element to describe the situation. Maybe that silence, which is in the title of this cycle of works, could be the desire of reaching a place and a time of peace at last, a sort of zero setting, a dimension only aestethic, almost mystique, in which one can have a rest from the uncertain absolute his deeds start from. As I know Bosi I think here is the answer: in fact in some fades or some fusions with Nature appearing from his scenic drawings- I would say theatrical- knowledge goes together with ecstasy, construction with haziness, truth with likelihood, material world with displayed onerism.
For a few years in the Western world we have been dealing with new myths, becoming more and more different from the traditional legends: they bring us the typical themes of our modern society and represent the experiences of the contemporary man. Generally speaking they are the result of the “chaos” in the 21st century. I would say it is more important to emphasize the collective needs derived from this kind of recent mitopoiesi. Nowadays we are losing our identity thanks to globalization and the disappearing of individual inner existence.
But how would you present these myths nowadays? Stories spread around talk about strange and unusual facts, sometimes merely tragic or tragicomic: they appear as popular knowledge to be diffused orally. This means that legend is the basis to understand a culture, first from the social and anthropological point of view and then artistic.
Matteo Bosi does this research, where narrations are running voices whose centers are hardly recognizable: they appear not fairy tales, they are not even simple mistakes but they have their own truth, showing some aspects of a knowledge impossible to be seen through other forms or any scientific technological research. In fact, legends influence the feeling of the human beings and build up reality. As we already know, legend is very closed to myth.
The world mythos means tale: the story -telling of events shared in a common past is the most important aspect. It is opposite to Logos, that is the rational speech, and it is connected to a primitive, archaic philosophy. This philosophy describes reality which isn’t easy to reveal in its basic elements (like it is for the Baroque style).
The myths with great heroes as protagonists talked about characters who were brave and courageous winners in very difficult situations. The myths about gods talk about birth and life. The myth about the origin, instead, were trying to answer about the vital question of mankind, giving an explanation about the birth of the world and human race. So the myth, far from being a simple invention of the imagination, was “a tale born in the darkness of the times existing before any poet could put it in verses” as the French historian Jean- Pierre Vernant rightly said.
For the ancient people the world of myth was not different from the world they lived in. In fact, the two overlapped, taking an example of the strongest and boldest men who shared the same human nature of those poets. So the myth, as heritage of ideas, traditions, religious and social institutions, which define a popular culture, talks about past events lived by heroes who are real even if belonging to a superior reality.
The final aim of the myth is to celebrate the high values and glories: at the same time it reflects the human feelings (pain, fair, anguish, the joy for victory, the respect for the divine, love for the land, spirit of sacrifice, the union with the other sex or with nature, so to create a new race. The myth rises to the highest point representing the national history, in it there is also the prophetic dimention usually blind, turned to the future, a possible lighthouse the ship is sailing to.
The average reader does not remember anymore the classics like Odissea, Iliade by Omero or Metamorfosi by Ovidio, or Vite Parallele by Plutarco. In these works there are the great myths of the ancient world which through ages inspired endless authors: Dante Alighieri, Giovanni Boccaccio, Ludovico Ariosto, William Shakespeare, James Joyce then hundreds of figurative artists.
So myths always reveal something of ourselves.
In his Lezioni americane Italo Calvino explained that you have to be careful about how you interpret myths. In the lesson Leggerezza Calvino cites the myth of Perseo who decapited Medusa. You should take note that, to kill Medusa, Perseo has to avoid staring into her eyes otherwise he will be transformed into stone. That’s why he succeeds in killing Medusa as he only looks at her reflection on his shield. The writer sees throught Perseo’s actions the relationship that the poet and the artist have with the world.
Literature and art express reality of life in an indirect way, putting a distance between the subject and the object through a simile, metaphor or an allegory. The one who can understand these expressions manages to understand the meaning of art with the same prospect of the one who can see it from a certain distance. So he can deeply feel and analyze it.
The great Italian critic Francesco De Sanctis saw in Perseo’s shield a symbol of reason useful to humanity, creating the necessary forms to react against irrational thinking, represented by Medusa. Without “the shield of reason” humanity becomes a statue, imprisoned in a stagnant situation.
Matteo Bosi’s art seems irrational to the viewer but at the end it derives its deep and detailed meaning from the obscurity and the unknown. The body balanced, in its forms and decorum, is a symbolic metaphor of dreaming unconscious dimension. Bosi’s language is based on myths connected to the past, present and future: so we have to go beyond the visible, the obvious, to understand the ethic message, the ideal thought which is immortal, never ending.
Bosi’s silence is a possible utopian odyssey. His art is a cerimonial magic circle in which Bosi is the liturgic master of his art.