Arte / Occhi di Stelle


Costell_Azioni, occhi di stelle
di Azzurra Immediato

Al cospetto della volta celeste siamo testimoni o attori? Al cospetto del tempo, siamo elementi infinitesimali di ciò che era prima di noi e dopo di noi sarà o siamo artefici di ogni istante? Per quanto tali interrogativi appaiano semplici in quella che s’affaccia persino come scontata soluzione, in verità sottende molto altro, ovvero ciò che rende il nostro esistere parte di costell_Azioni piroettanti lungo il corso il filo della vita che sembra unire, in modo del tutto casuale, storie, volti, memorie.

Armonie mnestiche che assumono nuova composizione nella ricerca fenomenica che Matteo Bosi pone in atto, archeologie della memoria che l’artista pone in atto quale filologica e lirica indagine attraverso frammenti fotografici, restanze di archivi familiari o collettivi, immagini e memorie che stanno al nostro presente quali memento vitae di tempi di cui forse nulla sappiamo. E se, invece, Matteo Bosi, tentasse di creare nuove galassie, nuovi legami interspaziali ed intertemporali in grado di rispondere all’oblio mediante una sorta di riattiv_Azione formale che attraversa la superficie delle opere per addentrarsi nel racconto contrario alla dimenticanza?

Osservare è la regola primaria per Matteo Bosi, cui segue quella di fissare e di eternare ciò che altrimenti sarebbe obnubilato. Osservare secondo una plurima interpretazione, secondo un modus operandi che stratifica l’ignoto, lo rende a noi caro. A partire da rituali fotografici di icone della fine, Bosi dà origine a nuovi inizi, a ciò che è stato definito ‘una grande liturgia universale’. Egli, attraverso il suo nuovo archivio immaginifico rappresenta il valore della persistenza che, seppur avvolta in una atmosfera necessariamente sospesa, in tale limbo attua una ritualità che consacra nuovamente il passato, lo rende tangibile nel presente, ne fa memoria per il futuro. L’estetica, che pur oniricamente fa la sua apparizione, come baluginio di polveri cosmiche, lascia spazio al concetto di legame, alla sostanziazione di smarrimenti in cerca di nuove radici.



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L’itinerario che rimanda ad una nuova sacralità umana è un tema che reca con sé echi di una liturgia contemporanea, azione ontologica di cui avevo avuto modo di raccontare nel giugno 2024, in occasione di una mostra, Mutazioni e Liturgie di cui Matteo Bosi è stato protagonista assieme all’artista Alabastro di Spirito. Ripercorrendo quella indagine appariva chiaro quanto “La metamorfosi” che Bosi attua nella propria ricerca post fotografica sia “una sorta di poesia esistenziale che s’agita nelle profondità del pensiero affiorando sulla superficie visibile delle cose, degli accadimenti, inattesa. Un fuoco d’intuizione che avvolge ciò che incontra gemmando un rituale in grado di congiungere le capacità sensibili dello sguardo e gli incantamenti dell’animo. In un simile agire, la fenomenologia artistica si trasforma in qualcosa di radicale, sintesi di un lavorio infinitesimale di grandezze sopite, di tracciamenti e perimetri di incompresa visione ove sostano immobili memorie ancestrali e questioni irrisolte. […] Fondamentale, perciò, è riconquistare lo spazio dell’inaudito e un’esperienza che, seppur legata ad una funzione mnemonica collettiva, sappia vivere osando per l’intuizione dell’istante come irripetibile atto di nuova comprensione. Ciò è nostalgia del futuro, significazione in grado di azionare un meccanismo a più voci che pone il fare artistico sullo stesso piano del comprendere artistico. D’improvviso, il sogno dell’artista si traduce in realtà tangibile dall’osservatore, espediente per entrare nell’alveo del qui ed ora.” Ciò che l’artista delinea è una mnestica azione collettiva, la costruzione di opere che “attivano con gli astanti un dialogo, una relazione, in cui è nodale il momento di raffronto con l’altro da sé, non già e non più solo con l’opera in quanto oggetto. […]”

Matteo Bosi, affidandosi alla propria narrazione delinea la metafora di Costell_Azione, attuata dalla forza dialogica di “elementi e funzioni solo apparentemente distanti. esplora la sacralità e il rituale all’interno di un processo immaginifico, ove le istanze liturgiche – comunemente associate soltanto ai riti religiosi – sono da Egli intese come atti simbolici e cerimoniali in grado di conferire profondità spirituale e significato alle immagini catturate. La sua ‘liturgia fotografica’ ricongiunge tempi e dimensioni inavvicinabili e distanti, mediante cui i soggetti protagonisti assumono i tratti – filosofici in primis – di messaggeri d’alterità, innestandosi all’interno di un dialogo – ed ecco nuovamente comparire la volontà di perimetro relazionale dell’arte – composito, la cui direzionalità si spinge dal basso verso l’alto e viceversa. In un simile agire – sovente caratterizzato dal ritrovamento di fotografie d’archivio su cui l’artista interviene con ritagli, collage, dipinture, al fine di scavare e far affiorare ignote visioni – l’artista si tramuta in una sorta di officiante, nell’alveo di quella reinterpretazione della liturgia che porta la sua arte ad esser varco di mediazione tra visibile ed invisibile.”

È così che la danza cosmica avviene sul palcoscenico terreste, quello dell’affresco frammentato delle nostre vite, ove dinanzi alla dimenticanza, all’oblio, alla morte, nuove storie attendono d’esser tradotte e narrate, sì da dar corso a liturgie e percorsi nuovi e sempiterni quella “sorta di enfatizzazione di consapevolezza ed intenzionalità poetiche e di pensiero di interazione con ciò che traccia forme di memoria esistenziale.” Nelle opere di Matteo Bosi, dunque, “Il concetto di trasformazione, pertanto, nella sua visione, è espressa tramite la ricostituzione di immagini singolari per immaginari corali, mutazione che, in un certo qual modo, assume il valore di un atto sacro di esplorazione mnestica. […] consolidandosi come desiderio di costruire una cosmogonia inaspettata, i cui innesti si scorgono nell’attesa.”

Ognuno dei lavori raccolti in questa pubblicazione rappresenta la summa di una narrazione visiva coniugante passato e presente, agendo in una profonda linea di temporalità, proponendosi quale come passaggio tra un oblio predestinato ed un nuovo, vibrante, legame con il presente che abitiamo, rendendo la riflessione, il dubbio, la risposta, strumenti capaci di dar voce al silenzio, come ‘l’invisibile suono delle stelle’.


occhi di stelle, le cartoline ritrovate dall'archivio del teatro Bonci di Cesena.